Guiglia, l’attesa è finita Un dono alla comunità

04.08.2024
Al termine di oltre cinque mesi di importanti lavori di restauro e consolidamento strutturale, le porte della chiesa di San Geminiano vescovo di Guiglia sono di nuovo aperte per accogliere i fedeli. Traguardo possibile grazie ai contributi determinanti della Conferenza episcopale italiana (Cei) e della Fondazione di Modena, le cui risorse si sono unite a quelle locali. Riprende così vita e vigore la prima chiesa dedicata al culto di san Geminiano, vescovo e protettore della città di Modena, sorta al di fuori della città, come testimonia un documento dell'anno 996 conservato presso l'Archivio capitolare del Duomo. Una storia antica, quella della chiesa di Guiglia, fino al XVI secolo dipendente dalla Pieve di Trebbio, come parte di un territorio complesso che fin dall'epoca preromana è stato di confine, e come tale per lunghi secoli luogo di incontro ma anche di scontro tra popoli e culture. Esiste un'antica tradizione, ricordata da Giuseppe Pistoni (San Geminiano, Vescovo e protettore di Modena - Banco S. Geminiano e S. Prospero, 1983), secondo la quale Geminiano avrebbe abitato per qualche tempo a Guiglia, dove avrebbe compiuto un piccolo ma significativo prodigio. Udite le grida disperate di un giovane, il santo si sarebbe avvicinato al ragazzo chiedendone spiegazione: saputo che era stato punto da una pianta spinosa appartenente alla famiglia delle fabacee, volgarmente chiamata bonaca, Geminiano avrebbe convinto amorevolmente il ragazzo a continuare il cammino senza timore e da quel momento la pianta avrebbe smesso di pungere, crescendo senza spine.

Un legame profondo unisce dunque Guiglia a Modena sul piano spirituale, e la forza di questo legame si è manifestata nuovamente anche domenica 4 agosto, nel corso della cerimonia di riapertura della chiesa parrocchiale al termine dei lavori, alla presenza dell'arcive-scovo Erio Castellucci. Hanno preso parte, insieme al parroco dell'unità pastorale guigliese don Robert Lokossou, anche il vicario generale Giuliano Gazzetti, don Luigi Biagini, cerimoniere e parroco della chiesa di Sant'Agnese di Modena, don Alberto Zironi, parroco della chiesa di San Michele Arcangelo di Nonantola. Erano inoltre presenti don Daniele Bernabei e don Sijo Thomas, rispettivamente parroco e collaboratore della parrocchia dei Santi Filippo e Giacomo Apostolo di Finale Emilia, e il diacono Daniele Parolari. Hanno presenziato alla cerimonia anche le autorità civili e militari, a partire dal sindaco Iacopo Lagazzi e dal maresciallo della locale stazione dei Carabinieri. Dopo un momento di ringraziamento sul sagrato, l'arcivescovo ha simbolicamente aperto le porte della chiesa, consentendo ai numerosi fedeli presenti di fare il loro ingresso. Nel corso dell'omelia, monsignor Castellucci ha chiarito con grande semplicità ed efficacia il senso della giornata, partendo dalla necessità di riconoscere i doni del Signore, senza pretendere o pensare che siano diritti da esigere o, peggio, da dare per scontati. Questo atteggiamento porterebbe inevitabilmente a preferire una schiavitù garantita a una libertà rischiosa, vissuta tra lamentele e mormorii continui, come è avvenuto agli ebrei durante i quarant'anni di permanenza nel deserto, nonostante le quaglie e la manna inviate loro da Dio ( Es. 16, 2-4 e 12-15). Gesù, nel Vangelo di Giovanni (Gv.6, 24-35), coglie perfettamente l'atteggiamento delle folle che lo seguono a Cafarnao. Non la ricerca della fede e del regno di Dio avrebbe mosso queste folle, non la ricerca della spiritualità simboleggiata dal segno della moltiplicazione dei pani, ma l'assistere a un nuovo miracolo, a una nuova moltiplicazione: un dono che si tramuta in qualcosa da esigere. Capovolgendo questa logica, senza dare nulla per scontato, l'esistenza finirebbe per cambiare aspetto, muterebbe di colore, si illuminerebbe di nuova luce. «La riapertura della chiesa di Guiglia – ha sottolineato l'arcivescovo a conclusione dell'omelia – ha esattamente questo senso: non un diritto, ma un dono per il quale esprimere gratitudine al Signore, senza dare nulla per scontato, inclusa l'esistenza di una comunità cristiana o la presenza dei ministri».

da Nostro tempo, dorso di Avvenire del 01.09.2024


Simona Roversi, direttrice dell'Ufficio diocesano per i beni culturali ecclesiastici, parla del restauro. «L'intervento è stato deciso nel 2022 perché la chiesa risentiva, da alcuni anni, di cedimenti che avevano creato diverse lesioni». «Tant'è che, qualche anno fa, era stata installata una rete sulla navata, per proteggere le persone dai frammenti che cadevano dalla volta». Cedimento e vulnerabilità in aumento sono stati rilevati da fessurimetri con i quali la chiesa è stata monitorata lungo tre anni. Si trattava – ha spiegato Simona Roversi – «di capire bene la malattia, prima di provvedere alla cura». Di particolare importanza, dunque, gli studi preliminari: «soprattutto laddove c'è una chiesa grande e il degrado è ampio». A tal fine «è stato realizzato il rilievo architettonico per avere il quadro dei danni e indagini geologiche per capire i motivi che hanno portato al cedimento delle fondazioni». È seguito – sulla base degli studi – il progetto, inviato e approvato dalla Soprintendenza, che «prevede interventi di consolidamento sui muri, per rinforzarli» attraverso la «ricostruzione della malta che tiene insieme i mattoni».

L'intervento ha previsto «il consolidamento della copertura, sia dall'esterno che dall'interno» e il rafforzamento del «comportamento scatolare», che «garantisce il movimento coeso della struttura in caso di evento sismico».

I lavori sono iniziati nel mese di febbraio e terminati a luglio. È l'esito positivo di un intervento che coinvolge tutta la comunità, anche in termini organizzativi ed economici. «Il contributo della Cei – ha osservato – non copre il 100% delle spese e una parte è stata messa dalla parrocchia». La Cei eroga fino al 70% del costo dell'intervento, che a Guiglia è di circa 400mila euro. «Alla Cei – ha spiegato – è stata chiesta circa la metà mentre la Fondazione di Modena ha contribuito con 130mila euro: anch'essi assegnati ed erogati per stralci, con l'avanzamento dei lavori». Non indifferente l'apporto della parrocchia, che «ha contribuito con i 70mila euro rimanenti».

C'è infatti un «lavoro corale» che si cela «dietro ogni obiettivo raggiunto». Parroci, collaboratori, tecnici, progettisti e impresa assegnataria sono «nodi di una rete alquanto efficace quando agisce in sintonia». E sono anni – ha testimoniato Roversi – che «il lavoro comunitario produce buoni risultati». Da vent'anni circa, l'8xmille costituisce la principale fonte di contributo per quanto riguarda il restauro e il mantenimento degli edifici di culto. Decine di essi non sarebbero stati restaurati senza «una firma che fa bene».

da Nostro tempo, dorso di Avvenire del 16.06.2024


© 2025 Ente di beneficenza | Tutti i diritti riservati.
Creato con Webnode Cookies
Crea il tuo sito web gratis!